sopra il locale di papà abitano samira ed abdhul, hanno poco più di vent'anni e una bimba di un mese e mezzo.
samira è una bellissima ragazza, con gli occhi neri e dolci e un sorriso sempre aperto sulle labbra.
aiuta nelle pulizie del locale, vestita solo della camicia da notte e di uno straccio in testa, mentre la bimba sonnecchia nella carrozzina o gorgheggia in braccio a papà diventato, ancora una volta, un nonno putativo.
samira fa il pane in casa, ché tre euro al chilo le sembrano troppi, invita papà a mangiare cous cous quasi tutti i giorni e quando vede le camicie di papà appese al gancio della cucina del bar, pronte da portare in lavanderia, zitta zitta le prende e gliele fa trovate fresche di bucato nella stanza dove lui dorme.
quando la bimba non dorme e piange e strilla, samira ed abdhul entrano stravolti dalla porta sul retro e -a locale chiuso od aperto di fumo e musica e ragazzi sbigottiti- portano la piccola a farsi coccolare dal nonno giorgio. sana e sacra stronzaggine dei figli, la bimba si acquieta, si zittisce ed infine si addormenta dopo tre esatti minuti che è in braccio a papà.
questa, invero, è una famiglia. forse una tribù urbana, come amano chiamarla i sociologi che disquisiscono fra loro, forse solo il vecchio concetto di famiglia allargata, che cresce e si modifica.
è parte della famiglia che sentiamo nostra, più di quella dei legami di parentela.
ed è bello guardare samira che si veste tutta seria quando deve uscire, e che scende invece al locale in camicia da notte, perché è casa sua; è bello farsi abbracciare da un abdhul spontaneo; è bello guardare questa bimba dai capelli neri neri e dagli occhi seri accanto ad agnese, la mia figlioccia, che ha i capelli rossi e gli occhi verdi propri della mamma scozzese, ed un sorriso impertinente sempre sulle labbra.
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