ottobre 28, 2004

pensavi che fosse solo un sogno.

l'obiettivo lì davanti, irraggiungibile.
pensavi che sicuramente qualche cosa sarebbe andato storto.

insegnare in università, sembrava così lontano e così impossibile.

poi, un giorno, ti dicono che il concorso per quel posto, quello che vuoi tu, quello per cui hai lavorato tanto, nella tua università e nel tuo laboratorio, è stato bandito.

le scadenze ti scorrono davanti agli occhi, i libri sul tuo tavolo non ti sembrano nemmeno adatti per studiare. e poco importa che quelle stesse cose che devi studiare per il concorso tu le abbia già studiate e già raccontate e già spiegate ai ragazzini dei primi anni di università.
ti sembra sempre e comunque di non saperne abbastanza.

poi le scadenze passano, presenti la domanda, compri apposta il tailleur serio con la gonna ampiamente sotto il ginocchio ed infine ti presenti, il giorno del primo scritto, nel tuo stesso laboratorio.

ed entri.
entri in quel laboratorio, dove tanto tempo hai passato, con il tremore nelle gambe e la gola secca.
e lo stesso uomo per amore -professionale ed intellettuale- del quale hai scelto questa strada ti guarda commosso e ti chiede la carta d'identità.

poi ti siedi ed inizi a scrivere per rispondere alla prima domanda. ed è improvviso il capire la differenza tra tutti gli esami che hai fatto nella tua vita (io li ho contati, solo per laurearmi, tra piccoli e grandi e dimezzamenti e trimezzamenti, mi sono seduta 112 volte) e questo.
perché questo è importante, è il tuo sogno, ed è *tuo*.
e anche perché tutto quello che devi scrivere, oh sì, lo sai. e lo sai bene.

e allora affronti il foglio bianco con frenesia adrenalinica: e scrivi scrivi scrivi, scrivi con il sorriso sulle labbra di chi sa che farà bene.

e quel concorso tanto sognato lo vinci.

e poi.

e poi sono tutti cazzi tuoi.

ottobre 20, 2004

e i pensieri, le emozioni, il sentire più vivo, scorrono veloci.
si impigliano tra i rami dei tigli e scrollano le foglie secche, colorate di giallo.
non si impigliano invece nelle dita, lasciandole nude, incapaci di dare loro parole.
si lasciano vivere, dolci e prepotenti, nelle risate.



ottobre 10, 2004

una festa per enzo

ieri sera abbiamo riso tantissimo: sarà stata la voglia di, finalmente!, ridere di cuore, sarà stata l'atmosfera gioiosa che avevamo intorno, saranno state le streghette con la parrucca azzurra che chiamavano alla cena sbattendo mestoli contro pentole, sarà stata la bravura degli artisti di strada che si susseguivano sul palco oppure sarà stata l'aria satura di quel fumo aromatico...sì, quello...?

e narsil con il sorriso negli occhi lucidi. e zu che abbraccia con lo sguardo. e rillo che telefona per sentire l'emozione via etere. e bolo che si fa addirittura coccolare. e franco che sfarfalla tra un dude e un altro e guarda gabriella con aria rapita.

e sentirsi abbracciare ed è marzia, bella come sempre, che per la festa di enzo ha lasciato a casa la sua giulia, che ha sei mesi.

e poi gli occhi di gabriella, che sono quelli di enzo.
e la serenità di giusi, e il suo sorriso che accoglie.

e come al solito il nostro tavolo si è riempito poco a poco di vecchi e nuovi amici , di chiacchiere e di risate, velate solo a tratti da una malinconia quasi giocosa e gioiosa.

citando enzo: maggica list.

ottobre 08, 2004

buon compleanno, Enzo

Chiamatemi Ismaele.
Alcuni anni fa - non importa quanti esattamente - avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m'interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo.
È un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione. Ogni volta che m'accorgo di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell'anima mi scende come un novembre umido e piovigginoso, ogni volta che mi accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di andar dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto in istrada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo dimettermi in mare al più presto.
Questo è il mio surrogato della pistola e della pallottola.
Con un bel gesto filosofico Catone si getta sulla spada: io cheto cheto mi metto in mare.
Non c’è nulla di sorprendente in questo. Se soltanto lo sapessero, quasi tutti gli uomini nutrono, una volta o l’altra, ciascuno nella sua misura, su per giù gli stessi sentimenti che nutro io verso l’oceano.
(Moby Dick, Melville. Traduzione di Cesare Pavese)

sorrido, è come se finalmente lo stessi lasciando andare.
buon viaggio, Balena.
buon viaggio, Ismaele.