pensavi che fosse solo un sogno.
l'obiettivo lì davanti, irraggiungibile.
pensavi che sicuramente qualche cosa sarebbe andato storto.
insegnare in università, sembrava così lontano e così impossibile.
poi, un giorno, ti dicono che il concorso per quel posto, quello che vuoi tu, quello per cui hai lavorato tanto, nella tua università e nel tuo laboratorio, è stato bandito.
le scadenze ti scorrono davanti agli occhi, i libri sul tuo tavolo non ti sembrano nemmeno adatti per studiare. e poco importa che quelle stesse cose che devi studiare per il concorso tu le abbia già studiate e già raccontate e già spiegate ai ragazzini dei primi anni di università.
ti sembra sempre e comunque di non saperne abbastanza.
poi le scadenze passano, presenti la domanda, compri apposta il tailleur serio con la gonna ampiamente sotto il ginocchio ed infine ti presenti, il giorno del primo scritto, nel tuo stesso laboratorio.
ed entri.
entri in quel laboratorio, dove tanto tempo hai passato, con il tremore nelle gambe e la gola secca.
e lo stesso uomo per amore -professionale ed intellettuale- del quale hai scelto questa strada ti guarda commosso e ti chiede la carta d'identità.
poi ti siedi ed inizi a scrivere per rispondere alla prima domanda. ed è improvviso il capire la differenza tra tutti gli esami che hai fatto nella tua vita (io li ho contati, solo per laurearmi, tra piccoli e grandi e dimezzamenti e trimezzamenti, mi sono seduta 112 volte) e questo.
perché questo è importante, è il tuo sogno, ed è *tuo*.
e anche perché tutto quello che devi scrivere, oh sì, lo sai. e lo sai bene.
e allora affronti il foglio bianco con frenesia adrenalinica: e scrivi scrivi scrivi, scrivi con il sorriso sulle labbra di chi sa che farà bene.
e quel concorso tanto sognato lo vinci.
e poi.
e poi sono tutti cazzi tuoi.
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