agosto 31, 2005

ricordi in technicolor

a volte bisogna saper chiudere delle porte per aprirne altre. per aprirne di più belle, di migliori, porte che hanno uno sguardo sul sole. bisogna saperle chiudere. essere pronti a chiuderle. ed io non lo sono. mi guardo intorno in questo mondo che sento tanto mio, ed ogni sguardo è un ricordo.

un ricordo racchiuso tra queste quattro mura e questi tremila metri scoscesi di foresta vergine.

il comodino in quell'angolo, dove ho appoggiato la lettera per la mamma appena tornata dalla mia prima vacanza da donna, quella confessione "la tua bambina è diventata una donna" scritta in inchiostro nero su fogli a quadretti rosa.
quell'angolo di cielo racchiuso tra la canna fumaria, la siepe ed il castagno dei vicini, dove si guarda il tramonto.
mamma che si lascia torturare punti neri e peli da una bambina-signorina dopo pranzo.
il quadrato di giardino sotto le nostre camere, prima teatro dei giochi bambini, l'altalena e le sbarre, poi delle sdraio ed infine dei roghi primaverili, tra il fumo e le risate amiche. e le pile di libri tra i sostegni azzurro grigio che non bastavano mai.
la mamma che strappa le erbacce lungo la strada fatta di sassi.
io seduta sul parquet e la mamma a letto, sdraiata, provata, che mi dice "ho visto una befana in corso matteotti" ed è il ricordo più dolce che ho di lei, abbandonata e con gli occhi grandi dell'amore che aveva dentro.
antonio disperato ed arrabbiato di dolore che mi sbatte contro quel mobile triangolare dell'anticamera, che non sa come reagire di fronte ad un dolore troppo grande.
i miei sedici anni ed il primo stereo appoggiato in sala sui mobili di noce, con un bigliettino con scritto ".. e fa...".
guardare antonio dormire nel mio letto, stretto stretto a me per cercare un po' di quel calore che nel freddo di quel febbraio sembrava non trovare la strada del cuore.
la zuppa inglese della mamma un giorno qualsiasi, la crema gialla e la scritta ciao con il cioccolato.
le sere seduta sul davanzale della finestra per farmi guardare dai ragazzini più grandi, che mi chiamavano dal bosco là dietro.